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Viaggio nella storia dell’irrigazione in Val di Non

18 Marzo 2024
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Quanto l’acqua ha condizionato lo sviluppo della frutticoltura in Val di Non?
Tutti sappiamo molto bene che l’acqua è elemento imprescindibile per l’agricoltura e da anni ci impegniamo per farne un uso responsabile. Proprio in ottica di risparmio idrico abbiamo adottato nel tempo sistemi e pratiche sostenibili, che contemplano tutte le fasi della mela, dalla coltivazione alla conservazione, passando per la lavorazione.

Partiamo dal risparmio in fase di coltivazione, accompagnandoti in un viaggio nel tempo.
Scoprirai in che modo l’acqua è stata gestita in Val di Non a beneficio della frutticoltura e quali sono state le evoluzioni dei sistemi di irrigazione. Arriveremo fino ai giorni nostri, in cui Melinda adotta nei suoi frutteti l’impianto a goccia.

Ad accompagnarci sarà Paolo Menapace di 79 anni, agricoltore di Tassullo da una vita e memoria storica dei sistemi di irrigazione.
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Paolo Menapace risparmio idrico

  • Paolo, come nasce questo tuo interesse per l’irrigazione?

Nutro una grande passione per l’acqua da sempre. Quando ero bambino l’irrigazione funzionava a scorrimento e io amavo seguire i canali e le derivazioni. Già allora mi incuriosivano i meccanismi che permettevano di portare l’acqua dalla sorgente al campo.

  • L’acqua è stata fondamentale per lo sviluppo della frutticoltura in Val di Non. In che periodo si può parlare di irrigazione a scopo agricolo?

Da noi sì è iniziato a irrigare nel 1852, quando è stato costruito il primo canale che portava l’acqua dalla Val di Tovel. Quel canale era un’opera eccezionale per i tempi (parliamo di una portata di 1000 litri di acqua al secondo!) e funziona tuttora. L’acqua arrivava fino alla località Ciaretar, dove c’era lo ‘spartidor’, un sistema di canali e di divisorie, che permetteva di dividere l’acqua destinata ai comuni limitrofi.
Allora l’acqua veniva distribuita a quattro comuni e gestita dai relativi consorzi di miglioramento fondiario: tre undicesimi ognuno per Tuenno, Tassullo, Cles e due undicesimi per Nanno, che era il consorzio più piccolo.
Questo primo impianto permetteva di irrigare solamente i terreni in discesa e l’acqua era gestita ‘a ore’, non a metro: il contadino pagava il numero di ore in cui l’acqua era erogata nei suoi campi, indipendentemente dalla grandezza degli stessi e dai litri di acqua effettivamente ricevuti. Questo sistema distribuiva l’acqua attraverso canaletti di cemento in testa al campo e altri canali provvisori, scavati sul momento con la zappa e chiusi dopo 4/5 minuti, per costruirne degli altri, in modo da far arrivare acqua nei diversi punti del campo.

Spartidor irrigazione

Da irrigazione a scorrimento a irrigazione sovrachioma

  • E poi? Come si è evoluto il sistema?

Verso metà degli anni ’50 siamo passati all’irrigazione a pioggia.
La tubatura costava molto e per questo abbiamo scelto di porre molta distanza tra un irrigatore e l’altro.
L’impianto era costituito da aste molto alte dotate di gradini che permettevano di raggiungere la saracinesca posta in cima. L’irrigatore era portato a spalla e veniva issato alla saracinesca. In questo modo si apriva il getto e si lasciava scorrere l’acqua per un’ora e mezzo. Poi si chiudeva e si passava all’asta successiva. Questo lavoro si faceva ogni 7-8 giorni, in base all’acqua che arrivava dal canale ed erano impiegate circa 22 persone per gestire 440 ettari di impianto irriguo.
Ricordo ancora queste grandi gittate, che creavano arcobaleni enormi nei campi: era uno spettacolo! Di contro, però, i getti non sempre erano distribuiti in modo efficace: bastava il vento a spostarne la direzione, con il rischio che l’acqua finisse a bagnare strade e case, a discapito dei frutteti.
Con il passaggio all’irrigazione a pioggia, l’acqua raggiungeva tutta la superficie coltivata e per questo si è passati ad un sistema di pagamento dell’acqua in base ai metri irrigati.

Nonostante le sue criticità, questo sistema ha contribuito ad uno sviluppo notevole dell’agricoltura in Val di Non e sempre più persone si sono dedicate alla frutticoltura.

  • Cosa è cambiato negli anni 70?

Verso il 1975 siamo passati all’irrigazione a pioggia lenta. Un sistema più automatizzato, in cui le girandole erano molto più vicine, quindi il loro getto, che era minore, raggiungeva la totalità del terreno coltivato. Con questo tipo di impianto si irrigava ogni 5 giorni e venivano distribuiti circa 21 mm di acqua in 3 ore. Quando l’acqua scarseggiava, per risparmiarne, i campi venivano bagnati ogni 6/7 giorni e si riducevano le ore di erogazione.
Questo sistema era più efficiente: il gettito minore evitava dispersione, la superficie bagnata era maggiore e il consorzio di miglioramento fondiario impiegava per gestirlo 6 persone contro le 22 che servivano prima.

Da irrigazione sovrachioma a impianto a goccia

Irrigazione a goccia Paolo Menapace

  • Come si è arrivati all’impianto a goccia?

Nel frattempo, abbiamo cercato di capire come l’irrigazione venisse gestita nel resto del mondo e per questo ci siamo recati inizialmente nello stato di Washington per valutare l’irrigazione a microjet, la quale non ci ha convinto perché consentiva un risparmio minimo (5%) e non ci sembrava adatta al nostro territorio.
Pian piano la nostra attenzione si è concentrata su un impianto innovativo, sviluppato in Israele: l’impianto a goccia. Siamo andati lì due volte per capire come funzionavano tubature e ali gocciolanti e per essere sicuri che questo sistema potesse essere adottato sui nostri terreni.
È stato così che abbiamo optato per l’impianto a goccia, che permetteva un risparmio fino al 35% – 40% di acqua, andando a bagnare solo il terreno in cui risiedono le radici della pianta.
Nel 2005 abbiamo fatto un test dapprima su 30 ettari, posti su terreni ripidi, per capire se davvero le ali gocciolanti fossero performanti. La prova è andata molto bene e per questo gli anni successivi abbiamo ampliato l’impianto, fino a coprire in 4 anni con il sistema a goccia la superficie di tutto il nostro consorzio.

  • Dal tuo racconto si evince che il nostro territorio ha cercato nel tempo di usare l’acqua in modo via via più responsabile. È così?

Certo, ci siamo impegnati per ottenere un sistema, quello odierno, che permette di usare solo la quantità d’acqua necessaria alla pianta e ai frutti per crescere, senza sprecarne nemmeno una goccia.

  • Quanto ha influito nello sviluppo dei sistemi di irrigazione la gestione dell’acqua attraverso un modello associativo?

In tutta la Val di Non l’acqua è sempre stata gestita dai consorzi di miglioramento fondiario locali e questo ha garantito che essa venisse erogata in modo efficace e utile a tutti gli agricoltori. I diversi consorzi hanno agito, supportati anche dai tecnici, con l’obiettivo comune di risparmiare acqua, cercando modelli sempre più intelligenti di irrigazione. Così facendo si è agito nel bene dell’intera popolazione.

 

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