Melinda

Le mele in Trentino, la scommessa vinta da una comunità

Val di Non e Val di Sole: lo sapevi che, grazie alla coltivazione di mele di qualità eccezionale, hanno evitato nel secolo scorso lo spopolamento dovuto a povertà ed emigrazione? Il racconto del successo di un territorio e delle sue famiglie.

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Le mele, la salvezza

Le mele raccontano la storia degli ultimi due secoli del Trentino, a saperle ascoltare. Alla fine dell’Ottocento, infatti, piantare alberi di melo si è rivelata la salvezza per la comunità della Valle di Non. In quegli anni, in seguito al diffondersi delle malattie che colpiscono gelsi e vite (coltivazioni fino ad allora prevalenti), molte famiglie sono costrette a emigrare e un progressivo spopolamento sembra il destino certo per questa valle. Ma… qualcuno prova a resistere e si gioca la carta della coltivazione di mele, di cui fino al 1850 non vi era traccia in zona: al massimo qualche pianta spontanea. La scommessa è vincente: non solo l’abbondanza dei raccolti supera presto il fabbisogno della comunità e comincia così l’esportazione, ma da subito le mele della Val di Non ottengono importanti riconoscimenti presso le mostre internazionali di settore, a partire dall’Esposizione mondiale di Vienna del 1873, dove viene premiata la particolare qualità di questi frutti e si predice loro un bell’avvenire. La Val di Non e la Val di Sole scoprono che le loro caratteristiche di altitudine, clima, esposizione costituiscono un ecosistema unico in Europa per la coltivazione delle mele, semplicemente perfetto.

Il paesaggio che cambia

Ai paesaggi agricoli precedenti, caratterizzati da gelso, vite, grano saraceno, si sostituisce nei primi del Novecento la pratica del prato-frutteto, ancora visibile in alcuni angoli del nostro territorio: una parte del campo viene coltivata a frutteto, con meli ad alto fusto molto distanti tra loro (i cosiddetti patriarchi), il resto è lasciato a prato, per ricavare il foraggio per gli animali. Alla fine degli anni 30 del Novecento, il 40% della frutta trentina viene dalla Valle di Non e da qui parte il 70% dell’esportazione. Ma è solo l’inizio: è nel secondo dopoguerra che le coltivazioni si fanno intensive e l’economia delle mele di questo territorio decolla, grazie a diversi fattori. Primo fra tutti, la passione e il duro lavoro degli agricoltori, che diventano sempre più professionali e collaborano tra loro riunendosi in cooperative.

Le mele portano il benessere

Negli anni 60-70 è boom: il successo delle mele della Val di Non porta lavoro per tutti, benessere, ripopolamento dei paesi. Il paesaggio viene di nuovo ridisegnato: a causa dell’innalzamento delle temperature, le coltivazioni salgono fino ai 1.000 metri di altitudine, la meccanizzazione impone appezzamenti di maggiore dimensione, piante piccole e ravvicinate, irrigazione a goccia, teli antigrandine: l’aspetto del meleto non è più quello idilliaco dei grandi meli “patriarchi” in mezzo ai prati. Ma come quelle grandi piante hanno salvato tanti anni fa le valli dallo spopolamento, anche i moderni meleti raccontano la storia di una comunità, il legame profondo tra la terra e l’uomo che la coltiva e protegge i suoi frutti, per il bene di tutti.